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Come abbiamo detto, le orchidee vogliono che molta aria circoli tra le radici e soffrono particolarmente i ristagni di acqua. Per questo motivo, è obbligatorio rinvasare le piante periodicamente ad intervalli di due-tre anni e cambiare completamente il composto dei vasi. Infatti i composti che normalmente vengono usati, a base di corteccia di conifera (bark), hanno il difetto di degradarsi abbastanza velocemente, e dopo due/tre anni il drenaggio viene ostruito causando problemi di asfissia radicale per le piante. Per le piante che vogliono il composto sempre umido, come Paphiopedilum e Phragmipedium, i rinvasi devono essere più frequenti, anche ogni anno. Visti i motivi per cui le orchidee vanno periodicamente rinvasate, vediamo adesso come e quando. Spesso teniamo queste piante in ambienti controllati, quindi il periodo del rinvaso non è così fondamentale come per altri tipi di piante, comunque il momento migliore è la primavera, appena inizia il risveglio vegetativo ed iniziano ad emettere le nuove radici. Inoltre è opportuno rinvasare comunque le piante quando ci si accorge che hanno sofferto per ristagni di acqua o comunque troppe annaffiature o eccessi di fertilizzanti. E' importante bagnare la pianta almeno 24 ore prima, così le radici (umide) diventano più flessibili e si possono piegare facilmente, altrimenti si corre il rischio di spezzarle durante le operazioni di rinvaso. Nel nuovo vaso (se ne occorre uno nuovo, altrimenti si può riutilizzare il vecchio lavandolo con varechina e risciacquandolo bene) occorre predisporre uno strato di drenaggio alto circa un terzo del vaso. Il drenaggio può essere fatto sia con pezzi di coccio sia con pezzi di polistirolo, l'importante è che sia abbastanza alto e non ostruisca i fori di scolo (tra l'altro se si usa vasi di plastica è consigliabile fare altri fori per migliorare l'aerazione). Come composto si può usare il bark (che è corteccia di conifera spezzettata) con aggiunte di materiali vari che servono a migliorano il drenaggio e/o la ritenzione idrica, quali il polistirolo a pezzi, torba, carbonella di legna (ottima anche da sola), pezzetti di spugna, lana di roccia, foglie di faggio secche. Altri ottimi materiali spesso indicati anche nei libri e nelle pubblicazioni, sono l'osmunda che è una fibra vegetale formata da radici di una felce, l'Osmunda regalis (che guarda caso è protetta allo stato naturale ed assolutamente introvabile in commercio) e lo sfagno, che è un muschio palustre che assorbe molta acqua e la rilascia gradatamente e si può usare sia fresco (vivo) che secco (neanche lo sfagno si trova in commercio, però si può trovare ai bordi degli acquitrini e nelle torbiere). Spesso su internet mi è capitato di leggere "n.z." inteso come composto: si tratta di un'abbreviazione di "New Zeland sphagnum moss" ossia "sfagno della Nuova Zelanda"; pare infatti che la varietà neozelandese dello sfagno sia la migliore del mondo per quanto riguarda la coltivazione di orchidee ... non andate però a cercarla nei negozi italiani, perché probabilmente vi rideranno dietro. Si trovano comunque in commercio dei mix già preparati a base di bark, che si possono tranquillamente usare per piante medio/piccole o per quelle che amano avere radici sempre umide come Phalaenopsis, Paphiopedilum ecc. mentre sono poco indicati per vasi (e piante) di grandi dimensioni (come i Cymbidium) e per quelle che soffrono se il composto rimane umido a lungo, come Cattleya, Laelia, Vanda ecc. Per queste è più consigliato usare la corteccia (a pezzi grossi) che viene venduta da sola e che spesso viene usata nelle aiuole per evitare le erbe infestanti. Ricordiamoci però che la pezzatura del composto deve essere proporzionata alla grandezza del vaso, ad esempio un vaso di 30/40 cm di diametro deve per forza avere un composto di pezzatura grande, sui 2/3 cm e più, altrimenti la zona centrale del composto rimarrà sempre umida, a scapito della salute delle piante, mentre per un vaso di 10 cm di larghezza si può utilizzare una pezzatura di circa un centimetro o anche meno. Il composto va inumidito qualche ora prima dell'uso. A questo punto si può estrarre la pianta dal vaso e districare le radici, togliendo tutto il vecchio composto e tagliando via le radici morte. E' consigliabile immergere la pianta in una soluzione con un fungicida per qualche minuto, quindi si può sistemare la pianta nella nuova dimora, avendo cura di sistemare bene il nuovo composto tra le radici e di non ricoprire il rizoma, bensì lasciarlo all'aria. Visto che le radici dovranno avere del tempo per crescere ed ancorarsi al vaso, è consigliabile inserire un tutore e fissarci i bulbi perché non si ribaltino, poi si sistema il vaso in un posto riparato e si cerca di lasciarlo in pace per 15/20 giorni senza annaffiare, dando solo alcune spruzzature qualche volta al giorno. Solamente Paphiopedilum e Phragmipedium amano essere innaffiati subito dopo al rinvaso. Il rinvaso può essere evitato in un solo modo, ossia facendo vegetare le piante su tronchetti, zattere e cose del genere. Essendo epifite infatti per loro è questo il modo naturale di crescere, quindi si adatteranno benissimo. Come supporti si può utilizzare vari tipi di legno, l'importante è che siano privi di tannini (evitare quindi legno di castagno e quercia), che siano abbastanza resistenti all'umidità (ad esempio pioppi ed altri legni "leggeri" si sfaldano troppo velocemente) ed abbiano la superficie molto rugosa in modo che le radici vi si possano aggrappare saldamente; normalmente si usano scorze di sughero o pezzi di robinia (chiamata anche acacia) stagionati a cui non sia stata tolta la corteccia. Ai tronchetti sarebbe bene comunque legare dei ciuffi di sfagno o
qualche altra cosa (tipo il misto di muschio e fibre di cocco che troviamo legato ai
paletti per le piante rampicanti domestiche) per aumentare l'efficacia delle innaffiature,
in quanto, essendo all'aria aperta, le radici si asciugano molto velocemente, richiedendo
a volte diverse annaffiature nell'arco di una stessa giornata.
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© Giulio Farinelli 1997-2005